I social media, da facebook a twitter, a instagram e compagnia varia sono ormai diventati parte integrante della vita di moltissimi, eppure non tutti si rendono conto che oltre ai dimostrati problemi legati alla gestione della privacy individuale (la privacy è importante, ricordiamolo, e non va liquidata con un ‘tanto io non ho nulla da nascondere’) la diffusione dei social media pone anche dei problemi sotto il punto di vista psicologico di chi ne fa uso. Ne parliamo con la Prof. Roberta Rossi dell’ Istituto di Sessuologia Clinica di Roma.
Perché i social media hanno avuto questa esplosiva diffusione, entrando a far parte integrante della vita di miliardi di persone? Evidentemente, prima ancora di ‘creare’ problemi e bisogni di cui parleremo più avanti, hanno risposto a delle esigenze molto sentite da parte della popolazione. Se le cose stanno in questo modo, quali sono queste esigenze? E se non stanno in questo modo, perché secondo lei questo successo così ‘totale’ almeno per il momento?
Mi sembra evidente che l’esigenza principale sia attualmente quella di apparire, di esserci per commentare, esporsi, fare tendenza, mostrarsi, anche se in realtà i social sono nati con altro obiettivo, principalmente quello di connettere le persone tra loro azzerando distanze e differenze, creando appunto un social network, una rete di connessione sociale.
Il pubblico ha poi lentamente modificato questo obiettivo e ne ha creati altri legati a questa voglia di esserci a tutti i costi, di non fare più parte della maggioranza silenziosa ma di un grande collettivo che si esprime e che spesso influenze le mode e le tendenze nei diversi campi. Insomma, abbiamo assistito ad una sorta di diffusione democratica del tratto narcisistico, che fa parte di ognuno di noi in forme diverse, attraverso i social media.
I social media. Come ci si difende, come andrebbero usati
I social media, facebook in primis, possono non solo raccogliere gli umori e le idee dei propri utenti (per rivenderli agli inserzionisti), ma hanno condotto e stanno sicuramente conducendo esperimenti per influenzare l’umore e le idee degli stessi utenti, verificando poi i risultati con l’analisi dei messaggi postati e mille altri indicatori di cui probabilmente non siamo neppure a conoscenza. Come ci si difende?
Non credo ci sia un modo per difenderci, siamo soggetti a messaggi continui da fonti diverse, sta a noi cercare di sviluppare degli strumenti critici che ci consentano di non prendere tutto quello che ci viene detto o mostrato. Se ricordo bene, dicevamo la stessa cosa anni fa, quando ancora non esistevano i social, dei messaggi subliminali delle pubblicità in tv o sui cartelloni per la strada. Quindi invece di sviluppare strategie difensive dovremmo ampliare le nostre conoscenze, appurare le notizie o le idee che ci vengono proposte, utilizzare i social con garbo e attenzione, più per divertirsi che per creare movimenti politici. Ecco, credo che dovremmo tornare all’aspetto ludico dei social, una sorta di piazza virtuale dove ci si incontra si scambiano due chiacchere e poi si torna alla vita di tutti i giorni.
E come si difendono i più giovani da questa costante intrusione, che se è efficace sugli adulti, figuriamoci con gli adolescenti… come si dovrebbero comportare i genitori quando inevitabilmente un figlio o una figlia inizia la propria vita ‘social’?
I più giovani andrebbero in parte educati all’uso dei social e i genitori hanno il dovere di supervisionarli nelle loro navigazioni, non intendo che devono essere presenti durante, ma devono in qualche maniera riuscire a sapere che tipo di chat usano, quali social e con chi sono collegati. Vanno discussi con loro i pro e i contro di un utilizzo del social, vanno approfondite le notizie che riportano casi di bullismo o di pedofilia, non per spaventarli, ma per renderli coscienti dei rischi che possono correre se non sono attenti. I ragazzi imparano molto anche dal nostro modo di rapportarci ai social, quindi possiamo essere buoni esempi già nel nostro utilizzo. Stare sempre connessi e poi dire al proprio figlio “non ti stacchi mai da quel cellulare” è una contraddizione in termini: cerchiamo di essere coerenti per prima noi adulti e forse possiamo aspettarci qualcosa dai nostri figli.
Quali sono i rischi, dal punto di vista psicologico, derivanti da una esposizione acritica e prolungata al mondo social, con tutto quello che ne consegue come il bisogno di approvazione da parte degli altri, il bisogno di sfoggiare stili di vita che magari non si hanno neppure, il bisogno di controllare frequentemente la quantità di like dati all’ultimo messaggio o all’ultima foto…? In quale tunnel si rischia di infilarsi?
Dobbiamo dire che i social espongono a questi rischi nei casi in cui l’adolescente o l’adulto hanno già delle criticità in questi ambiti. La scarsa autostima comporta una esasperazione della ricerca di approvazione e i social rappresentano in questo caso la via privilegiata o la catastrofe emotiva. Non sono dell’idea di demonizzare i social, sono una fonte di connessione importante, dobbiamo essere cauti nell’uso che ne facciamo. Per far questo dobbiamo possedere o sviluppare caratteristiche critiche e di consapevolezza, utili tra l’altro in altri campi della nostra vita. Ben vengano quindi progetti nelle scuole che aiutino ad utilizzare al meglio la risorsa social, ce ne vorrebbero anche per adulti…..
Quale è la sua opinione, non solo come psicologa, e le sue considerazioni su questo fenomeno che più che ‘dilagante’ ormai possiamo considerare ‘dilagato’?
Mi sembra di essermi espressa ampiamente, sono una fan dei social e di internet in generale, li penso come strumenti che hanno rivoluzionato il mondo della conoscenza e della comunicazione. Dobbiamo essere attenti all’effetto boomerang, con un ritorno negativo di questa grande promessa di espansione, dobbiamo usare le chat come se avessimo le persone realmente davanti a noi, non servirci della virtualità per offendere, ingannare o peggio ancora mettere alla gogna. Non credo si possa tornare indietro, e sinceramente non lo vorrei neanche: dobbiamo imparare a contenere prima di tutto noi stessi, sono psicologa psicoterapeuta e credo nella possibilità di cambiamento degli individui, ho fiducia nelle persone e penso che prima o poi riusciremo a capire e ad utilizzare al meglio questa grande invenzione dei social.
Ringraziamo la Prof. Roberta Rossi
Istituto di Sessuologia Clinica www.sessuologiaclinicaroma.it
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Alessio Cristianini per Margherita.net