Sono periodi drammatici, mai vissuti prima, e che speriamo di non dovere più vivere una volta passata questa emergenza da Covid-19. Nel frattempo siamo inondati di notizie, di informazioni spesso corrette, altre volte forse un po’ confuse.
Per cercare di rispondere alle molte domande che riceviamo da parte delle lettrici abbiamo intervistato la Prof. Daria Trabattoni, Professore Associato di Immunologia – Patologia Generale, Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche L. Sacco a Milano e la Prof. Mara Biasin Professore Associato di Biologia Applicata presso l’Università degli Studi di Milano
Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche L. Sacco. La Prof. Trabattoni e la prof. Biasin sono in primissima linea in questa lotta contro il virus ma anche contro il tempo, una lotta che ci vede tutti impegnati (anche noi, che possiamo – anzi dobbiamo – dare un contributo determinante in un solo modo: standocene tranquilli a casa) e in questa intervista ci aiutano a fare chiarezza su molti punti e molte domande che continuano a girare per la testa di tutti.
IL TAMPONE
Il cosiddetto ‘tampone’ rileva la presenza del virus nel momento in cui viene effettuato, e quindi ci dice se una persona può essere malata o ammalarsi, o rimanere ‘asintomatica’ ma in ogni caso contagiosa. Quali sono i motivi per cui si sta discutendo così tanto sull’opportunità o meno di testare più persone possibile? Non sarebbe utile sapere chi ha il virus e chi non lo ha, per prendere i provvedimenti del caso? O ci sfugge qualcosa?
Il tampone permette di rilevare la presenza del virus SARS-CoV-2 che provoca il COVID 19. Lo studio effettuato su tutti gli abitanti di Vo’ Euganeo, come già riportato dal Prof. Sergio Romagnani, indica che la percentuale delle persone infette, anche se asintomatiche, nella popolazione è altissima e rappresenta la maggioranza dei casi. Sempre da questo studio si evidenzia che l’isolamento dei soggetti asintomatici è essenziale per riuscire a controllare la diffusione del virus e la gravità della malattia. Eseguire il tampone su tutta popolazione è però impensabile perchè richiederebbe uno sforzo logistico/organizzativo enorme rischiando di provocare la “paralisi” dei laboratori autorizzati ad eseguire questa analisi, che verrebbero sommersi da un numero elevatissimo di campioni da testare. Sicuramente però estendere questa procedura almeno alle persone a rischio (es. personale medico/sanitario, lavoratori a contatto con il pubblico, soggetti con sintomi lievi, familiari apparentemente non infetti di pazientI) permetterebbe di identificare e isolare fonti importanti di infezione. Certamente bisogna anche considerare quali sono i risvolti di una scelta di questo genere soprattutto per il personale medico/sanitario. Già allo stato attuale ci si trova in difficoltà per la mancanza di un adeguato numero di operatori sanitari, cosa succederebbe se molti di loro risultassero positivi al tampone per COVID 19? Il nostro sistema sanitario sarebbe in grado di gestire una situazione simile? Forse per ora l’unica possibilità per ridurre i contagi è in effetti quella di limitare il più possibile i contatti interpersonali, utilizzare mascherna e guanti e magari eseguire i tamponi sulle persone che presentano sintomi anche lievi.
IMMUNITÀ ACQUISITA
Chi ha già avuto il Covid-19 sviluppa immunità o no? Dopo averlo superato in un modo o nell’altro, si diventa immuni e quindi non più a rischio di essere contagiati? E se sì, come si fa a sapere, esistono degli esami per sapere se si ha già avuto questo virus e se si hanno gli anticorpi che ci proteggeranno da una nuova infezione?
Il problema principale di questa infezione è che essendo dovuta ad un nuovo virus non esistono studi scientifici a cui far riferimento. Anche le informazioni sull’acquisizione di uno stato di immunità e sui fattori di protezione sono ancora in corso. Il ruolo degli anticorpi specifici non è ancora stato chiarito. Non sempre tra l’altro la presenza di una risposta anticorpale anti-virale si associa ad uno stato di protezione. In tal senso, per esempio, nell’infezione da HIV la presenza di anticorpi non è indicativa di uno stato di protezione, definisce invece lo stato di sieropositività di un soggetto. Per questo motivo sono importanti gli studi che stanno partendo atti a rilevare la presenza di anticorpi e a definire il loro ruolo. Anche nella nostra Università è stato proposto uno studio (Studio UNICORN) con tale scopo. Dovremo attendere almeno qualche mese per poter avere dati sufficienti a trarre delle conclusioni in tal senso.
C’e uno studio sui macachi appena pubblicato che suggerisce protezione da reinfezione; c’e però anche segnalazione episodica in Cina di due persone che si sono reinfettate.
ISOLAMENTO O IMMUNITÀ DI GREGGE
Si sta discutendo di molte cose – comprensibilmente – in questi giorni confusi e drammatici. Una di queste è la diversa filosofia tra isolamento delle persone e attesa per una terapia e un vaccino, e quelli che sostengono che il virus vada fatto ‘circolare’ perché si sviluppi la cosiddetta immunità di gregge. Entrambi questi approcci hanno dei costi, economici e in termini di vite umane. Ci può aiutare a capire come stanno le cose, i pro e i contro di questi approcci così diversi, che hanno sicuramente motivazioni non solo puramente mediche all’origine?
Quando si parla di “Immunità di gregge” ci si riferisce ad una forma di protezione indiretta nei confronti di un agente patogeno che si verifica quando una parte significativa della popolazione ha sviluppato uno stato di immunità protettiva e fornisce una forma di tutela indiretta anche agli altri individui della comunità che non hanno sviluppato direttamente l’immunità. Questo fenomeno è quello che si verifica in seguito a vaccinazioni o anche al termine di un’epidemia. Per quanto riguarda COVID 19 ci sono due ordini di problemi: il primo è che non sono ancora stati definiti i fattori di protezione, vale a dire: non sappiamo ancora se gli anticorpi che si producono a seguito dell’infezione hanno un ruolo protettivo o no e non sappiamo ancora nulla sui loro tempi di permanenza in circolo. Il secondo problema è che questa infezione può provocare una sintomatologia molto grave a volte fatale e che se permettessimo la diffusione “indiscriminata” del virus rischieremmo di non riuscire ad assistere tutti i soggetti che sviluppassero una forma grave di malattia. Credo pertanto che applicare la politica dell’isolamento sia più prudente e potrebbe permetterci di raggiungere uno stato di immunità di gregge con tempi più lunghi ma con minori perdite.
VACCINO
Si parla di vaccino per contrastare questa epidemia del virus Covid-19. Perché per certi virus (mi viene alla mente quello dell’epatite C) non si riesce a sviluppare un vaccino mentre per altri (l’influenza ad esempio) sì? E questo nuovo coronavirus a quale delle due categorie appartiene? Quando – realisticamente – avremo in commercio un vaccino efficace, secondo lei?
Nella messa a punto di un vaccino efficace contro un patogeno entrano in gioco molte variabili relative al patogeno stesso ma anche alle caratteristiche dei soggetti da vaccinare. Prima tra tutte la possibilità di identificare i fattori immuni di protezione/resistenza. Di nuovo, ci stiamo ancora chiedendo se gli anticorpi che si generano in seguito all’infezione da SARS-CoV 2 siano protettivi o no. Sono pertanto importanti studi che analizzino le risposte immuni dei soggetti infettati con sintomatolgie diverse e di soggetti esposti che non si infettano per poter identificare i meccanismi di protezione/resistenza a questa infezione. A quel punto si potrà cercare di indurre questo tipo di risposta tramite un vaccino. Anche il nostro gruppo di ricerca, coordinato dal Prof. Mario Clerici, è attualmente impegnato in progetti di questo tipo per eseguire un’approfondita analisi della risposta immune virus-specifica in soggetti con diversa sintomatologia, facendo anche attenzione ai soggetti in età pediatrica che sembrano per ora essere meno propensi a sviluppare una sintomatologia grave. Per quanto riguarda i tempi, non è facile rispondere. Si stanno facendo molti sforzi per ottenere un vaccino efficace contro questo virus, ma i tempi tecnici non possono essere abbreviati a meno di non voler rischiare di ottenere “prodotti” poco efficaci.
IL FUTURO
Come ne usciremo? Come sarà secondo lei la nostra vita sociale e interpersonale una volta che saremo usciti da questa situazione di emergenza? Potrà tornare tutto come era prima, o non tornerà più come si viveva solo pochi mesi fa?
Sono fiduciosa che ne usciremo, l’esperienza cinese è testimonianza che si può contenere questa infezione. I tempi sono ancora troppo incerti e anche il numero degli infetti e delle vittime purtroppo è destinato a salire, ma se tutti ci comportiamo responsabilmente, seguendo le indicazioni che ci vengono date, ne usciremo.
Come saremo dopo tutto ciò? Credo torneremo ad abbracciarci e “fare pranzi” in famiglia e con gli amici. Forse apprezzeremo di più la libertà di movimento che ora è un po’ limitata. Certo che se tutto fosse successo anche solo trent’anni fa, quando i sistemi informatici non erano così diffusi, sarebbe stato tutto molto più complicato.
Ringraziamo la Prof. Daria Trabattoni
Professore Associato di Immunologia – Patologia Generale
e la Prof. Mara Biasin
Professore Associato di Biologia Applicata
Università degli Studi di Milano
Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche L. Sacco