Di violenza familiare si parlava prima, e anche se forse adesso le prime pagine dei giornali sono piene (comprensibilmente) di altre notizie, la violenza familiare non è scomparsa. Anzi, è molto probabile che la convivenza forzata di questi mesi, lo stress che inevitabilmente si accumula, i problemi economici e di lavoro, vadano a sovrapporsi al problema esistente esasperandolo, rendendolo ancora più serio, più urgente.
Di violenza familiare in tempi di Coronavirus, e pertanto di permanenza forzata all’interno della stessa abitazione parliamo con Elisabetta Todaro, Psicoterapeuta e Sessuologa dell’Istituto di Sessuologia Clinica di Roma. Ecco le sue risposte alle nostre domande.
Sicuramente le situazioni di violenza familiare che si verificavano prima del blocco degli spostamenti non sono diminuite. Anzi. Ci sono gia dei dati, anche se in evoluzione, della situazione in Italia in questo periodo sotto questo punto di vista?
E’ corretto affermare che le situazioni di violenza non sono diminuite. Il senso di precarietà si somma alla drastica diminuzione o l’arresto degli scambi lavorativi e sociali, creando condizioni di ulteriore difficoltà per le vittime di violenza. In questo senso, l’acclamato “restiamo a casa” porta una crescita rischiosa del silenzio e della solitudine. Questo stesso silenzio è stato registrato, nelle ultime settimane, dalle associazioni che lavorano in questo settore, registrando una “assordante” diminuzione delle richieste di aiuto. Non si conosce l’esatta stima nel caso italiano, ma stando al Telefono Rosa, le vittime di violenza ad aver chiamato sono quasi il 48% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019.
Come si può cercare di gestire una situazione familiare esplosiva quando si devono condividere 24 ore su 24 gli stessi spazi. Magari anche piuttosto ristretti?
Per rispondere è, intanto, opportuno specificare che le situazioni di tensione familiare dovute allo stress sono diverse dalle ricorsive relazioni disfunzionali in cui è coinvolto chi è vittima di violenza. Non potremmo parlare di una relazione di “causa-effetto” del Covid sull’aumento dell’esplosività; la violenza domestica, infatti, non è dovuta a motivazioni evidenti, che, invece, vengono più utilizzate come “pretesto”. In tal senso, accorgimenti che potrebbero essere validi per evitare la tensione (cercare di ritagliarsi degli spazi di distrazione, contattare persone care per mantenere un dialogo, dedicarsi alla cura di sé) non hanno effetto significativo per arginare la violenza strutturata. In quest’ultimo caso, infatti, chiedere aiuto specialistico è il metodo più efficace.
E quando non si può gestire una situazione troppo estrema, cosa fare? A chi rivolgersi… e poi? Dove si va? Quali sono le opzioni possibili di cui magari non si tiene conto (o che non si conoscono) pensando che in un periodo come questo si debba solo stare chiusi in casa e aspettare che passi?
E’ bene ricordare il numero 1522, servizio pubblico GRATUITO attivo H24 sia telefonicamente che in chat. Inoltre, l’App YouPol della Polizia di Stato è stata provvista della sezione sulla violenza domestica. L’App è scaricabile (anche in forma anonima) sia da vittime che da testimoni di violenza (vicini di casa, amici). Dall’App è possibile chiamare direttamente il Numero di emergenza unico e, dove non ancora attivo, risponderà il 113.
Ringraziamo Elisabetta Todaro, Psicoterapeuta e Sessuologa dell’Istituto di Sessuologia Clinica di Roma
Per maggiori informazioni sul tema segnaliamo il servizio di consulenza telefonica gratuita dell’Istituto di Sessuologia Clinica di Roma (ISC) disponibile dal lunedì al giovedì dalle 15:00 alle 19:00 al numero 06 85356211. Un team di psicologi con specializzazione in sessuologia clinica risponderà alle vostre domande e fornirà indicazioni utili rispetto ai temi della sessualità.
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