La cosiddetta mancanza di autostima è un problema molto diffuso, a volte ben camuffato, a volte superato in parte. Ma è e rimane un problema molto sentito che può influire in maniera determinante sulla qualità della vita, sulle scelte personali, sul lavoro e sul fronte delle relazioni. Ne parliamo con la Dott.ssa Chiara Venturi, Psicologa psicoterapeuta a Milano.
I problemi legati alla mancanza di autostima nella vita adulta possono affondare le radici anche in situazioni familiari che – magari senza volerlo – contribuiscono ad aprire qualche crepa in questa specie di ‘corazza naturale’ che ci accompagna nella vita di tutti i giorni Quanto è vera questa affermazione? Dove – in base alla sua esperienza professionale – si trovano più spesso le cause di questo problema?
Parto da un dato clinico che riscontro nel mio lavoro. Quando incontro persone adulte molto autocritiche, o svalutanti nei confronti della propria persona, chiedo sempre se c’è stata una figura importante del passato che ha usato le stesse parole. Spesso infatti, alla base di una scarsa autostima, ci sono state relazioni fondamentali che sono state svalutanti: un genitore, un insegnante molto critico o poco valorizzante.
Si tratta di solito di figure rigide o molto critiche, avare di complimenti e poco capaci di amare incondizionatamente, ovvero in maniera non subordinata alla prestazione e agli eventuali successi: ti amo per ciò che sei, e non per ciò che fai.
Ecco che allora quelle frasi (“non combinerai mai niente”, “non sei capace”, “sbagli sempre”, “hai superato l’esame perché era facile”) vengono interiorizzate durante l’infanzia e diventano verità, magari una profezia che si autoavvera. Diventano convinzioni negative su di sé molto radicate anche nella vita adulta, una vocina interiore (“non sei all’altezza”, “non lo meriti”) molto critica che è difficile da mettere a tacere. E andiamo quindi alla continua ricerca di validazioni esterne che confermino il nostro valore, e che possano sfatare la convinzione di non essere mai abbastanza.
Ecco che allora quelle frasi (“non combinerai mai niente”, “non sei capace”, “sbagli sempre”, “hai superato l’esame perché era facile”) vengono interiorizzate durante l’infanzia e diventano verità, magari una profezia che si autoavvera
Anche una spiccata competitività tra fratelli, magari alimentata dalle figure genitoriali, ha spesso un ruolo determinante.
Potremmo inoltre pensare, inconsciamente, di dover vivere una vita piena di successi per conquistare, finalmente, l’amore del genitore che non è stato disponibile ad un rapporto di affetto genuino e incondizionato.
La mancanza di autostima può incidere in gradi diversi nel nostro modo di interagire con il mondo che ci circonda. Spesso passa inosservata, a volte si riesce a creare un meccanismo difensivo, altre volte diventa un vero e proprio problema. A che punto la mancanza di autostima inizia a richiedere un’attenzione particolare, e l’intervento di uno specialista?
Diventa un problema quando diventa limitante e compromette la qualità di vita e la soddisfazione personale, soprattutto nelle relazioni e nella carriera professionale.
Dal lato affettivo, è possibile che si incappi in relazioni (sentimentali o amicali) non valorizzanti, o che ci si accontenti perché si ritiene di non meritare di meglio. Si tollerano scorrettezze e angherie poiché si ritiene di meritarle.
Dal lato lavorativo, osservo di frequente quella che viene chiamata la “sindrome dell’impostore”: donne e uomini con ruoli anche importanti che soffrono di ansia e di dubbi su se stessi, non ritengono di meritare quella posizione, non si sentono all’altezza e si vivono, appunto, come degli imbroglioni che rischiano di essere smascherati da un momento all’altro rispetto alla loro inadeguatezza. Si tratta di persone capaci e in gamba che però non riescono a vedere il proprio valore nonostante i riconoscimenti, le promozioni, etc. In questi casi la soddisfazione per la propria vita, professionale e privata, può essere davvero compromessa.
Madri iperpresenti, iperprotettive, ipercontrollanti e mancanza di autostima durante la vita adulta. Può esistere un rapporto diretto causa effetto tra queste due situazioni?
I genitori sono le prime persone nella nostra vita con cui instauriamo una relazione. Potremmo dire che sono la matrice di tutte le relazioni che avremo successivamente. In questo senso, il rapporto con la figura materna da, alla nostra persona e alla stima che abbiamo di noi stessi, un’impronta determinante.
Dal lato lavorativo, osservo di frequente quella che viene chiamata la “sindrome dell’impostore”: donne e uomini con ruoli anche importanti che soffrono di ansia e di dubbi su se stessi
Nel caso di una madre con queste caratteristiche, la figlia potrà facilmente dedurne che la madre non abbia sufficiente fiducia in lei (“se la mamma mi controlla in ogni mio passo, mi monitora costantemente, e tende sempre a proteggermi, significa che non si fida di me, o non mi ritiene in grado di farcela da sola; mi sta dicendo che non sono brava come lei”). Queste convinzioni, che si radicano nell’infanzia, spesso rimangono cucite addosso fino all’età adulta, minando la sicurezza di sé e la propria sensazione di autonomia e indipendenza. In tutti questi casi è utile ricordare che se la mamma era controllante e iperprotettiva, molto probabilmente si trattava di una sua propria caratteristica (ad esempio era una donna ansiosa), e che non ha nulla a che vedere con le caratteristiche della figlia. Si tratta di deduzioni logiche che facciamo in automatico quando siamo bambini, per proteggere le nostre figure genitoriali, ma che non rappresentano l’unica lettura possibile da adulti.
Donne e mancanza di autostima. Si tratta di un problema prevalentemente ‘femminile’ come sembrebebbe, oppure riguarda uomini e donne in ugual misura?
Riguarda uomini e donne in egual misura. Viviamo in una società narcisistica e molto competitiva sia per i maschi sia per le femmine. Essere performanti e brillanti, in forma fisicamente, sembrare giovani e belli e riuscire ad arrivare dappertutto, guadagnare bene, sono richieste sociali più o meno implicite che riguardano entrambi i generi e che rendono bruciante il confronto con i cosiddetti “modelli vincenti”.
Per le donne si aggiunge quello che chiamiamo “carico mentale femminile”, ovvero la pressione di doversi sobbarcare le attività domestiche e familiari, oltre a quelle lavorative, più di quanto facciano gli uomini (anche secondo le statistiche). Questa aspettativa – diciamo impossibile da raggiungere – può essere molto pesante rispetto a quanto la donna si sente all’altezza del proprio ruolo in tutte le sue sfaccettature: come moglie o compagna, figlia, professionista, amica, nell’aspetto fisico, etc.
Per le donne si aggiunge quello che chiamiamo “carico mentale femminile”, ovvero la pressione di doversi sobbarcare le attività domestiche e familiari, oltre a quelle lavorative
Riscontro spesso nel mio lavoro che talvolta la fonte della bassa autostima è proprio una persona vicina (magari un partner o una madre): a volte, le persone intorno a noi hanno bisogno di “abbassarci” per emergere o per accrescere il loro valore: si tratta di relazioni tossiche da cui bisogna imparare a proteggersi.
Cosa fare? Quando la mancanza di autostima diventa un problema, come ci ha spiegato prima, come si affronta il problema? A chi ci si rivolge? Cosa ci si deve e cosa ci si può aspettare?
Per quanto riguarda l’atteggiamento che possiamo tenere per far fronte alle minacce alla nostra autostima, dobbiamo ricordare che nessuno è bravo in tutto, e che tutti quanti siamo un colorito mix tra pregi e difetti, punti di forza e fragilità. Spesso degli altri vediamo il lato migliore (magari attraverso i social), ed è facile scoraggiarsi in questo impietoso confronto.
Dobbiamo anche tenere presente che non si può vivere di sola performance, quindi può essere utile ristabilire delle priorità e dare più spazio a ciò che ci fa stare bene, frequentando persone e contesti che ci valorizzano e ci incoraggino.
Dobbiamo stare inoltre attenti a come ci parliamo, alle parole che usiamo quando ci rivolgiamo a noi stesse: dovremmo cercare noi per prime di essere più gentili e accoglienti (“sono sbagliata” ha tutto un altro effetto rispetto a “ho sbagliato”, per esempio).
Dobbiamo ricordarci di farci dei complimenti e di premiarci spesso.
Quando il divario tra la propria visione di sé e l’ideale e le proprie ambizioni è talmente grande da essere intollerabile, si possono vivere sentimenti di ansia e angoscia, profonda tristezza, sofferenza e frustrazione: in questi casi è molto utile rivolgersi ad uno/a psicoterapeuta, che, all’interno di una relazione di fiducia possa aiutare a correggere la visione che si ha di sé, insegnare l’arte dell’accettazione e dell’accoglienza verso se stessi, e a costruire una solida autostima interiorizzata, che possa resistere agli attacchi esterni e interni e che non dipenda esclusivamente dalle conferme che arrivano da fuori.
Ringraziamo la Dott.ssa Chiara Venturi
Psicologa psicoterapeuta a Milano
https://www.chiaraventuri.it
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