Gravidanza e malattie autoimmuni. Una combinazione che è poco nota, ma che può portare a gravi problemi per la salute di madre e figlio, con esiti a volte anche molto gravi. L’importanza di un buon feedback con lo specialista (spesso gli specialisti) e le terapie più importanti in caso di gravidanza, quando si è affette da una malattia autoimmune, sono al centro di questa intervista con la Prof. Caterina De Carolis, Direttore f.r. Ginecologia ed Ostetricia presso l’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata a Roma.
In che modo le malattie autoimmuni rendono la gravidanza a rischio?
La relazione tra gravidanza e malattie autoimmuni è rappresentata da un modello bidirezionale: da un lato le malattie autoimmuni possono essere influenzate dalla gravidanza, e a sua volta, la gravidanza stessa può essere influenzata dalla presenza di fenomeni autoimmunitari, in particolare durante le fasi precoci e quelle finali del periodo di gestazione. Durante le fasi precoci della gravidanza alcuni fenomeni autoimmuni sembrano in grado di causare aborti spontanei o di provocare patologie fetali come nel caso del lupus neonatale. I processi autoimmunitari che si verificano durante la gravidanza possono mettere a repentaglio la vita materna o quella fetale e devono pertanto essere precocemente riconosciuti e trattati. Oltre il 25% delle coppie in età fertile è affetta da problemi che insorgono durante la gravidanza. Il feto deve essere considerato un “tessuto immunologicamente privilegiato” per cui la rottura dei meccanismi di omeostasi del sistema immune materno in corso di gravidanza può rappresentare la causa del fallimento della gravidanza stessa. Se da un lato le malattie autoimmuni che maggiormente mettono a repentaglio il buon esito di una gravidanza sono la sindrome da anticorpi anti fosfolipidi ed il lupus eritematoso sistemico (LES), diverse condizioni pregiudicano il buon andamento della gravidanza, comprese le tireopatie autoimmuni in associazione o no ad altre patologie autoimmuni (S. di Sjogren, artrite reumatoide, sclerosi sistemica).
Perché negli esami che si fanno di routine in gravidanza non vengono inseriti anche quelli che in qualche modo segnalano rischi di patologie autoimmuni?
Una premessa fondamentale risiede nell’evidenza che la mera presenza di autoanticorpi non indica di per se la necessaria comparsa o sviluppo di malattia, e questo implica che siano spesso molteplici le variabili che portano alla strutturazione della patologia gravidica. In gravidanza, le conseguenze della presenza di autoanticorpi possono essere molteplici a seconda della natura stessa degli anticorpi. Il successo di una gravidanza dipende da un numero notevole di fattori, fra cui rientrano non solo fattori immunologici, ma anche di altro tipo (anatomici, endocrinologici, genetici). La patologia gravidica contiene al suo interno una varietà di condizioni che possono– ma non è detto che siano – associate ad una serie di malattie sistemiche, per cui l’evento patologico è solo secondario alla malattia di base. Questa è comunque prevalentemente la condizione nella quale si configura la patologia immunologica della riproduzione, che a sua volta si estrinseca con diverse manifestazioni cliniche. Un consiglio è sempre quello di raccogliere un’anamnesi (storia clinica) accurata che sia il più dettagliata possibile al fine di una valutazione complessiva della donna. Spesso nel corso della prima gravidanza arrivata dopo un periodo di infertilità inspiegata o dopo terapie specifiche per l’infertilità si possono avere dei segnali di allarme anche nelle donne che non hanno effettuato esami specifici per problematiche autoimmuni: l’aborto spontaneo precoce o le ipertransaminasemie moderate, alcune forme di orticaria o una iniziale ipertensione : quest’ultima può trasformarsi in preeclampsia /eclampsia e mettere a rischio la vita sia della madre che del feto.
Affrontare una gravidanza in presenza di una patologia autoimmune è abbastanza sicuro per la gestante e per il nascituro?
Il successo della gravidanza nelle pazienti affette da patologie autoimmuni risiede in un attento counseling pregravidico con pianificazione del concepimento, nella stretta monitorizzazione delle pazienti e nella collaborazione fra le figure di riferimento: il ginecologo, il reumatologo, l’endocrinologo e soprattutto la madre.
Una sindrome poco conosciuta dai più in quanto relativamente giovane, la sindrome da anticorpi anti fosfolipidi, definita dalla presenza di almeno una manifestazione clinica in termini di trombosi arteriose, venose e/o patologia gravidica ed almeno uno dei criteri di laboratorio (la presenza di anticorpi anti fosfolipidi) oltre ad aborti spontanei, anche ricorrenti, comprende un’altra serie di complicanze che spaziano dal ritardo di crescita intrauterino all’abruptio placentae, all’ipertensione arteriosa secondaria, all’insufficienza utero-placentare ed alla sindrome HELLP (acronimo medico che indica una sindrome dove l’emolisi, l’ aumento degli enzimi epatici e la piastrinopenia portano ad una prognosi infausta fetale e/o materna se non diagnosticata in tempo). Un capitolo a parte va riservato alle pazienti che presentano anticorpi anti Ro/SSA e anti La/SSB. Una parte dei neonati svilupperà infatti una sindrome denominata lupus neonatale che si verifica a causa della trasmissione di autoanticorpi dalla madre al feto attraverso la placenta a partire dalla 16° settimana di gravidanza. I neonati possono presentare manifestazioni transitorie che si risolveranno con la scomparsa degli anticorpi materni (fino a 6 mesi dopo la nascita). Tali manifestazioni includono lesioni cutanee lupus-like, citopenia ed aumento delle transaminasi. Una manifestazione più grave occorre nell’1-2% circa dei neonati di donne che presentano anticorpi anti Ro/SSA e anti La/SSB, ed è il blocco cardiaco completo (BBC). Tale complicanza può essere diagnosticata sempre tra la 16° e la 18° settimana di gravidanza ecograficamente ed ha un tasso di mortalità fetale del 20%. La terapia consiste nel posizionamento di un pacemaker permanente. Per tale grave complicanza è fondamentale individuare le portatrici degli anticorpi anti-Ro/La già prima del concepimento e monitorizzare la frequenza cardiaca fetale a partire dalla 16^° settimana mediante ecografia fetale con frequenza settimanale fino alla 28° settimana.
Margherita.net
Ringraziamo la Prof. Caterina De Carolis, Direttore f.r. Ginecologia ed Ostetricia presso l’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata a Roma
Sito web www.caterinadecarolis.it