Quel che la psicosi ci insegna sull’amore, il corpo, il femminile, l’immagine, la libertà, il linguaggio, il sapere.
Quando nel 1967, rivolgendosi a un pubblico di giovani psichiatri dell’ospedale Sainte-Anne di Parigi, Jacques Lacan dichiara che «il folle è l’uomo libero», non ci sta forse insegnando qualcosa sia sulla libertà che sulla follia? Solo il folle sperimenta, in termini di angoscia, il vero prezzo dell’aspirazione alla libertà, della speranza di liberarci da ogni legame.
Ci accorgiamo, così, che la follia ci offre la possibilità di tornare a interrogare buona parte delle nostre certezze. Sino a pochi anni or sono, la follia costituiva infatti una fonte d’ispirazione per scrittori e studiosi, che consideravano la parola del cosiddetto “alienato” portatrice di un sapere particolare.
I fenomeni che si producono nella follia sembrano far luce anche su molte questioni delle nostre vite. Perché allora la nostra epoca lascia così poco spazio all’insegnamento che da lì può giungere? Insieme alla letteratura e al cinema, la psicanalisi sembra oggi la sola disciplina che accetti di considerare la follia come fonte di nuovi interrogativi. È tangibile, infatti, che essa ha saputo farsi carico delle questioni che il sapere psichiatrico aveva tratto dall’osservazione di coloro che, messi al bando dalla società, si ritrovavano nei manicomi.
Partendo da un altro luogo – il lettino – la psicanalisi è riuscita ad amplificare questo sapere senza trascurarne le implicazioni. Ci sarebbe allora molto da imparare dai fenomeni della follia, se solo si seguisse il principio secondo cui la dimensione della sorpresa segnala l’affiorare di un sapere misconosciuto. Ma la nostra epoca sembra poco sensibile alla speranza di nuovi interrogativi. Terapie rieducative, procedure burocratiche, reazioni segregative sempre più violente, un’atmosfera prescrittiva sembrano produrre risposte autoritarie dinanzi a quel che, nel corso dei secoli, si è costantemente presentato come un interrogativo.
Come parte integrante della nostra umanità, la follia può insegnarci molto su noi stessi. È la scommessa di questo libro: che il sapere dispiegato nella psicosi possa permetterci d’interrogare in modo nuovo i nostri modi di concepire il linguaggio, l’amore, la coppia, il corpo, la bellezza, lo sguardo, il femminile, la rappresentazione o ancora lo spazio e il tempo… accettando però che la follia non si lascia mai rinchiudere in un sapere costituito.
I casi clinici qui presentati da psicanalisti e psichiatri, italiani e francesi, dell’Association Lacanienne Internationale ci mostrano «cosa accade quando quel margine inquieto che si chiama “desiderio soggettivo” viene abolito: ci si trova comandati, arpionati, ridotti a oggetti di un Altro divorante, più in contatto con il desiderio di morire che di vivere. Il che c’insegna molto su noi stessi, i cosiddetti normali, e moltissimo sui nostri tempi».
Con testi di:
Amalia Mele, Angela Jesuino-Ferretto, Choula Emerich, Claude Landman, Corinne Tyszler, Cristiana Fanelli, Cyril Veken, Danièle Brillaud, Denise Sainte Fare Garnot, Edouard Bertaud, Elsa Caruelle-Quilin, Esther Tellermann, Fabrizio Gambini, Guy Pariente, Hélène Blaquière, Janja Jerkov, Jean-Jacques Tyszler, Jorge Cacho , Marcel Czermak, Michela Marino, Muriel Drazien, Nicolas Dissez, Patrizia Piunti, Renata Miletto, Stéphane Thibierge, Stéphanie Hergott
Il sapere che viene dai folli
a cura di Nicolas Dissez e Cristiana Fanelli
DeriveApprodi
ISBN 978-88-6548-183-7
PAGINE 528
ANNO 2017