Quando si ha a che fare con problematiche della sfera sessuale e quindi con le disfunzioni sessuali, il miglior approccio è quello bio-psico-sociale ossia un approccio che prenda in considerazione tutti i fattori biologici, psicologici e sociali sia nella fase diagnostica che di trattamento. Negli anni sono stati fatti molti progressi nella comprensione della risposta sessuale femminile; progressi che hanno dato avvio alla ricerca di nuovi trattamenti che coniugassero ausili farmacologici a psicoterapie. Tuttavia, se si fa un parallelo con quello che è accaduto per la sessualità maschile si può notare che esistono molte differenze.
La prima molecola approvata dalla Food and Drug Administration (FDA) per la sessualità maschile, il Sildenafil maggiormente conosciuto con il nome di Viagra, risale al 1998 e da allora sono state trovate (e la ricerca ancora continua) diverse strategie volte ad aiutare l’uomo in caso di problematiche sessuali da un punto di vista farmacologico, mentre lo stesso tipo di tenacia non sembra aver accompagnato la ricerca di soluzioni per le disfunzioni sessuali femminili, almeno fino ad oggi. Mentre per i disturbi da dolore vengono presi in considerazione alcuni ausili farmacologici, per i disturbi che comprendono il desiderio e l’eccitazione sessuale o l’orgasmo non ci sono molte possibilità in ambito farmaceutico.
La prima molecola approvata per la sessualità femminile risale a solo qualche anno fa, ossia al 2015. Stiamo parlando della Flibanserina, nome commerciale Addyi, farmaco per il trattamento del disturbo del desiderio nelle donne in premenopausa. È stata erroneamente definita dai media “il Viagra femminile” o “Viagra Rosa”, nonostante non abbia alcuna azione diretta sugli organi genitali, come i farmaci usati per l’erezione maschile, ma agisca a livello cerebrale aumentando i livelli di dopamina e noradrenalina e abbassando la serotonina. Inizialmente testato come antidepressivo, nei primi studi portò risultati scarsi sull’umore ma buoni sul desiderio. Da allora sono stati condotti diversi studi che hanno portato alla sua approvazione. Tuttavia, questo non è bastato per la diffusione del suo utilizzo, anzi molti sono ancora i timori sugli effetti collaterali oltre che i dubbi sulla sua efficacia. Molti clinici, infatti, hanno preso le distanze da questo farmaco anche per l’idea che si possa andare verso un’eccessiva medicalizzazione della sessualità. Mentre il dibattito scientifico sulla Flibanserina è ancora in atto, a distanza di quattro anni la FDA approva una nuova molecola: la Bremelanotide, nome commerciale Vyleesi, adatta anche questa per le donne con disturbo del desiderio in premenopausa.
Vyleesi vs Addyi
L’azione di Vyleesi è diversa da quella di Addyi, ma agisce comunque a livello cerebrale. Sebbene i due farmaci abbiano in comune questo aspetto, sembra che presentino delle differenze importanti. Prima tra tutte la nuova molecola è un farmaco on-demand, cioè al bisogno, mentre la flibanserina necessita di un’assunzione giornaliera. Questo può avere dei vantaggi: oltre ad essere più comodo da assumere rispetto ad un farmaco da usare tutti i giorni per cui è importante mantenere una certa regolarità, può essere più accettato dalle donne che sentono di avere meno sostanze chimiche in circolo nel loro corpo, inoltre, questo può far sentire le donne meno “malate” perché il farmaco al bisogno può essere preso come un aiuto in un particolare momento, mentre quello ad assunzione giornaliera può dare più la sensazione di bisogno di una “cura”. Tuttavia, il farmaco on-demand può anche presentare degli svantaggi: la persona deve organizzarsi e calcolare i tempi e questo può creare ansia, mentre un farmaco ad assunzione giornaliera può dare più tranquillità perché nel momento in cui la donna decide di avere un rapporto è già coperta. La seconda differenza è che il Vyleesi non è in pillole come l’Addyi, ma la sua somministrazione avviene attraverso un’iniezione sottocutanea sulla pancia, o intramuscolo nella coscia, almeno 45 minuti prima del rapporto. È realizzato come una epipen, simile a quelle che si usano per le iniezioni di insulina. Sebbene il suo utilizzo sia semplice, questo potrebbe non essere di gradimento per alcune donne che magari non hanno dimestichezza con gli aghi e che invece possono preferire ingerire una pillola, ma anche qui la questione è molto soggettiva. Il Vyleesi può essere assunto tranquillamente anche dopo una cena e bicchieri di vino, al contrario della precedente molecola che interagisce con l’alcol e per tanto non può essere assunta con esso. Questo rende la sua assunzione più semplice, perché la donna non deve stare attenta a modificare il suo stile di vita. Può essere usata massimo una volta nelle 24 ore, non oltre otto volte al mese. Superata questa soglia possono formarsi zone di iperpigmentazione sulla cute. Anche per il Vyleesi gli effetti collaterali non mancano, anche se sembrano minori di quelli dell’Addyi. L’effetto indesiderato più frequente è la nausea, in misura inferiore anche arrossamento, vampate, affaticamento, mal di testa, vertigini ecc. La flibanserina, invece, si associa oltre a vertigini, sonnolenza, fatica e nausea anche al rischio di ipotensione e sincopi, effetti che possono sicuramente far emergere più timori.
Farmaci sì vs farmaci no
Nonostante il grande ritardo rispetto al corrispettivo maschile, negli ultimi anni sembra che l’interesse per la sessualità femminile e per le possibilità di intervento sulle disfunzioni sessuali, anche da un punto di vista farmacologico, sia cresciuto. Ad oggi abbiamo “ben” due farmaci a disposizione e nati a distanza di pochi anni l’uno dall’altro. Questo fa pensare che la ricerca si stia muovendo in tal senso dando un ruolo al piacere femminile. Tuttavia, mentre da una parte è cresciuto l’interesse verso il benessere sessuale femminile, alcuni clinici hanno preso le distanze dalla potenziale medicalizzazione dei disturbi in quest’area. C’è da considerare che esiste un delicato equilibrio tra l’attenzione a riconoscere e dare un nome alle problematiche sessuali e fornire “cure” per le stesse e il medicalizzare quest’area così naturale e soggettiva. Nella sessualità, infatti, esiste una grande variabilità individuale e definire cosa è normale e cosa no può portare a patologizzare situazioni sane ma che semplicemente vanno fuori da una norma arbitrariamente definita.
Prima di parlare di disturbo sessuale è importante valutare che ci siano tutte le situazioni favorevoli a che ci possa essere una buona risposta sessuale. Per esserci una buona eccitazione, ad esempio, è importante che ci siano delle stimolazioni adeguate e in linea con le preferenze di quella specifica donna. Ogni persona è diversa, così come la sua sessualità. Non a tutti piacciono le stesse cose e il corpo di ognuno risponde in modo diverso alle diverse stimolazioni. Una donna può pensare di avere un problema relativo all’eccitazione quando invece non ci sono le basi perché ci sia una buona eccitazione e queste possono riguardare il contesto, la situazione che non piace o che non fa stare comoda la persona, anche il tipo di relazione e il partner e non ultime, per l’appunto, le stimolazioni. Tutto questo è valido non sono per l’eccitazione ma anche per il desiderio. Affinché ci sia un buon desiderio sessuale è importante che i rapporti o le attività sessuali siano soddisfacenti. Nessuno desidera qualcosa che non gli piace! Più le attività sessuali sono legate al piacere e alla soddisfazione, più il desiderio si alimenta. Prima di parlare di disturbo del desiderio è importante valutare che ci siano le situazioni favorevoli a che ci sia questo desiderio. Prescrivere un farmaco in questi casi può non essere la scelta ottimale. Perché il desiderio è basso per un motivo, ha una funzione: di non far avvicinare la persona ad una situazione che genera frustrazione. Il corpo non è una macchina e non va trattato come tale. Su queste considerazione si può comprendere il come mai la nascita di questi farmaci abbia generato molte critiche. Tuttavia, è utile considerare un altro aspetto. Relativamente alla sessualità maschile, il fatto che ci siano presidi medici efficaci nel trattamento delle diverse problematiche è ormai assodato, e questa possibilità rende tutti più ottimisti nella prognosi, anche quando i sintomi hanno una chiara base intrapsichica o relazionale. Perché questo non accade per la sessualità femminile? Per la sessualità femminile, infatti, sono rimasti tutti più cauti e “resistenti” nell’accoglienza delle innovazioni farmacologiche. La critica alla medicalizzazione della sessualità femminile sembra ancora avere a che fare con il vuoto di interesse rispetto alla soddisfazione sessuale femminile, e di fatto, alimenta una disparità di genere che non fa altro che sostenere generalizzazioni e stereotipi.
All’interno di una valutazione professionale, condotta da esperti della salute sessuale che lavorano secondo un’ottica integrata e che vede tutti i livelli coinvolti (biologici, psicologici e sociali), avere la possibilità di avvalersi anche dell’uso di farmaci può essere qualcosa di importante ai fini del benessere di quella persona e nello specifico di quella donna. È bene ricordare, inoltre, che le ricerche sottolineano la maggiore efficacia dei trattamenti combinati (medico-psicologici), rispetto a quelli singoli. Non sono i farmaci in sé a determinare il rischio di medicalizzare la sessualità, ma è l’uso che se ne fa.
Per maggiori informazioni sul tema segnaliamo il servizio di consulenza telefonica gratuita dell’Istituto di Sessuologia Clinica di Roma (ISC) disponibile dal lunedì al giovedì dalle 15:00 alle 19:00 al numero 06 85356211. Un team di psicologi con specializzazione in sessuologia clinica risponderà alle vostre domande e fornirà indicazioni utili rispetto ai temi della sessualità.
Valentina Rossi
Istituto di Sessuologia Clinica