Forse non tutti conoscono la definizione ufficiale di ‘fobia sociale’, ma sicuramente sanno cosa significa soffrire di attacchi di ansia – a volte attacchi di panico – che si scatenano in determinate situazioni della nostra vita pubblica, sociale, lavorativa. Affrontiamo ed approfondiamo in questa intervista con la Dott.ssa Lucia Musci, Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale a Roma, il problema della ‘fobia sociale’.
Quali sono le situazioni apparentemente innocue in cui più comunemente, in base alla sua esperienza clinica, la fobia sociale si esprime in attacchi di ansia o panico?
Credo sia importante definire esattamente questo disturbo. Possiamo parlare di fobia sociale quando vi è una marcata paura di una o più situazioni sociali o prestazioni nelle quali la persona è esposta al possibile giudizio degli altri. L’esposizione a tali situazioni genera una reazione d’ansia che può anche assumere la forma di un attacco di panico.
E’ possibile identificare due sottotipi di fobia sociale: quella generalizzata e quella specifica. Nel primo caso le paure riguardano la maggior parte delle situazioni sociali, sia quelle che prevedono interazioni sociali sia quelle prestazionali (per es., iniziare o mantenere la conversazione, partecipare a piccoli gruppi, parlare a persone che occupano una posizione di autorità, partecipare a feste, mangiare e bere in pubblico, servirsi di bagni pubblici). Generalmente in questo caso (che è anche quello più frequente, visto che il 70% delle persone che richiedono un aiuto rientrano in questo sottotipo) la menomazione è più grave e limitante.
Nel caso della fobia sociale specifica le paure riguardano una o alcune situazioni sociali specifiche (ad es: parlare in pubblico).
Chi soffre di fobia sociale è più spesso una donna, un uomo, o non vi sono differenze sotto questo punto di vista?
Le ricerche epidemiologiche e cliniche degli ultimi decenni ci dicono che i tassi di incidenza del disturbo nei due sessi non sono molto diversi.
Soffrire di fobia sociale significa dover scendere a compromessi con le situazioni che scatenano gli attacchi di ansia, limitandosi e limitando le opportunità della vita che si è in grado di cogliere. Quale i suoi consigli a chi soffre di questo problema magari in maniera limitata ma comunque sufficiente ad interferire con il normale ‘funzionamento’? Come reagire?
Un passaggio importante per avviare un processo di cambiamento è sicuramente quello di prendere consapevolezza del legame che esiste tra pensieri ed emozioni. Le persone sono spesso portate a pensare che sia la situazione a determinare l’emozione. In realtà quello che, nel caso specifico della fobia sociale, determina l’ansia è il significato (e quindi i pensieri) che la persona attribuisce a quella specifica situazione.
I nostri pensieri, le interpretazioni che diamo della realtà sono influenzate dalle nostre esperienze precedenti e dalle caratteristiche della nostra personalità, dall’opinione che abbiamo di noi stessi e dalla nostra visione degli altri e del mondo.
Ci sono ovviamente situazioni ed eventi anche molto spiacevoli, ma di per sé ben raramente una situazione o un evento è terribile o insopportabile. Senza il contributo attivo dei nostri pensieri non soffriremmo così tanto o non raggiungeremmo livelli così elevati d’ansia.
Chi giudica come pericolosa o fonte di profonda vergogna una situazione che potrebbe essere considerata solo come fastidiosa o sgradevole è poi portato a sentirsi disturbato in misura proporzionale alla gravità del suo giudizio e a stare quindi molto male quando potrebbe provare “solo” emozioni spiacevoli.
Le opinioni, le aspettative, i giudizi, in breve i pensieri che abbiamo su una situazione ci possono far stare molto peggio di quanto sia ragionevole e utile.
Come si supera la fobia sociale?
Per superare la fobia sociale è dunque importante capire quali pensieri la accompagnano e scatenano le reazioni ansiose esagerate.
Questi pensieri vengono chiamati in terapia cognitivo-comportamentale pensieri disfunzionali, sia perché sono poco realistici, sia perché non aiutano a raggiungere i propri obiettivi, anzi sono controproducenti.
Alcuni esempi di pensieri disfunzionali tipici di un fobico sociale sono: “sicuramente tremerò” “l’ansia avrà il sopravvento” “mi stanno osservando” “rideranno di me”, o ancora “bisogna avere sempre la battuta pronta” “se uno suda davanti agli altri, vuol dire che è strano” “se non risulto interessante gli altri mi allontaneranno”…
Un primo passo dunque per iniziare a mettere in atto un cambiamento consiste nel prendere consapevolezza dell’esistenza di questi pensieri e del loro ruolo nel determinare l’emozione e il comportamento al fine di poterli mettere in discussione.
Quando il disturbo diventa più serio a chi ci si rivolge, e soprattutto cosa ci si può aspettare da una eventuale terapia?
Il trattamento più indicato per la fobia sociale, di efficacia ampiamente dimostrata, è la psicoterapia cognitivo-comportamentale.
Questa forma di psicoterapia si basa sul principio che le nostre reazioni a una situazione sono dovute non tanto alla situazione, ma a quello che pensiamo di essa, a quello che ci diciamo, al nostro dialogo interno.
Un piano di trattamento per la fobia sociale dovrebbe prevedere:
- Un intervento didattico ed educativo sulla natura dell’ansia sociale, sui modelli sociali, sulle strategie di controllo, sui copioni sociali, sulla natura delle emozioni;
- L’apprendimento di tecniche di gestione dell’ansia e del panico;
- La correzione dei modi disfunzionali di pensare;
- Un aumento delle interazioni sociali attraverso un’esposizione graduale.
Vi sono anche psicofarmaci efficaci, che però spesso non sono necessari. Il trattamento farmacologico dovrebbe comunque essere sempre accompagnato da quello psicoterapico, perché è questo che garantisce che i miglioramenti durino nel tempo.
Ringraziamo la Dott.ssa Lucia Musci
Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale a Roma
http://www.psicologa-roma.net/
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