Un punto di grande attenzione per tutte le donne che decidono di diventare mamme, o già in stato interessante, è sicuramente quello della rosolia in gravidanza. Una malattia che di per se non è particolarmente grave, ma che grave può invece diventare – per il feto – quando contratta durante la gravidanza.
Tra le molte lettere che ci scrivete per segnalare argomenti di interesse per il nostro pubblico di lettrici, quelle che chiedono di approfondire il tema della rosolia in gravidanza sono molte, e molto sentite. Per questo motivo, come facciamo sempre, ci siamo rivolti ad un esperto a livello universitario, in questo caso abbiamo interpellato la Professoressa Tiziana Lazzarotto, Professore associato MICROBIOLOGIA E MICROBIOLOGIA CLINICA Università di Bologna e componente del Direttivo dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani (AMCLI) e le abbiamo posto le domande più importanti per quanto riguarda il problema della rosolia in gravidanza.
La rosolia durante la gravidanza è una condizione molto temuta dalle donne, anche se spesso non si sa chiaramente quali siano i pericoli a cui si può andare incontro. Può aiutarci a capire perché la rosolia in gravidanza è così pericolosa e temuta?
La rosolia è una malattia virale autolimitante, tipica dell’infanzia, caratterizzata per lo più da esantema, rialzo febbrile, spesso modesto e rare complicazioni. Tuttavia, se è vero che la rosolia è una malattia pressoché innocua o talvolta addirittura asintomatica (nel 20-50% dei casi), diventa molto rischiosa se contratta durante la gravidanza, in particolare durante il primo trimestre di gestazione per l’elevato rischio di trasmissione del virus dalla madre al feto.
Secondo l’OMS se una donna contrae la rosolia nelle prime 12 settimane di gravidanza ha il 90% di probabilità di trasmettere il virus al feto che, nella metà dei casi, manifesterà la rosolia congenita (CRS), malattia molto severa a carico del sistema nervoso, caratterizzata da ritardo psicomotorio, difetti visivi, fino alla cecità, sordità e talvolta difetti cardiaci.
Come si contrae la rosolia in età adulta, e quali sono le precauzioni per cercare di evitare di essere contagiate?
Il responsabile della rosolia è il rubivirus, un virus che si trasmette principalmente attraverso le gocce di saliva emesse da una persona infetta quando parla o starnutisce o il contatto diretto con le sue secrezioni nasofaringee. Il periodo di massima contagiosità va da una settimana prima della comparsa dell’esantema cutaneo fino a cinque-sei giorni dopo. La malattia ha un’incubazione di due-tre settimane.
Proteggersi dalla rosolia non è affatto facile. Per farlo, una donna gravida non immune dovrebbe evitare il più possibile i contatti con i bambini piccoli e gli ambienti chiusi molto affollati. Anche in questo modo, comunque, non avrebbe la certezza di non infettarsi.
Il modo più efficace per non correre rischi di infettarsi con il virus della rosolia, è ricorrere alla vaccinazione.
Il vaccino. Serve, non serve, incontra delle resistenze. Quali i benefici e quali i rischi del vaccino?
Assolutamente sì, il vaccino serve. Per evitare efficacemente di contrarre l’infezione da rosolia è sufficiente vaccinarsi. In Italia è disponibile un vaccino trivalente, cioè contemporaneamente rivolto contro la rosolia, il morbillo e la parotite (vaccino MPR) ed è offerto gratuitamente a tutti i bambini (maschi e femmine) entro i 15 mesi di età e con un richiamo entro i 6 anni. La vaccinazione non è obbligatoria ma fortemente raccomandata per la sua quasi totale efficacia nell’immunizzarci (dopo le due dosi) e dunque prevenire l’infezione e se in gravidanza, evitare la trasmissione dalla madre al feto del virus.
Il vaccino inoltre, serve ed è importante perché se vi è una percentuale ampia di popolazione vaccinata, si viene a creare quella che viene definita “immunità di gregge”, ovvero un’immunità nei confronti dell’infezione, tale da ridurne progressivamente la circolazione, fino a farla davvero scomparire. Nelle nostre realtà questo è, ad esempio, già avvenuto per la poliomielite.
Se una donna sa di non aver effettuato il vaccino in età infantile o non ricorda di averlo effettuato e/o scopre di non avere anticorpi contro la rosolia, dovrebbe richiedere la vaccinazione prima di programmare una gravidanza. In questo modo ha la certezza di non esporsi al contagio nel corso dei nove mesi e quindi ai rischi che comporta un’infezione da rosolia in gravidanza. Dopo la vaccinazione MPR occorre aspettare un mese prima di cercare una gravidanza.
Per quanto riguarda i rischi del vaccino, essi sono legati alla ipersensibilizzazione del soggetto vaccinato nei confronti degli adiuvanti presenti nel vaccino, rischi comunque molto poco frequenti e insiti a tutti i vaccini ma anche ai farmaci.
Ad oggi non c’è nessuna evidenza scientifica che possa collegare la somministrazione del vaccino MPR con l’insorgenza dell’autismo.
Per approfondimenti consultare il sito: http://www.epicentro.iss.it/temi/vaccinazioni/MPR_autismo.asp
Se una donna ha contratto la rosolia durante la gravidanza cosa si fa? Si può intervenire in qualche modo per cercare di limitare i rischi? E come?
Innanzitutto è fondamentale datare molto bene l’inizio dell’infezione in relazione alle settimane di gestazione in quanto, come è già stato detto, il rischio di complicanze fetali è maggiore se la trasmissione avviene nelle prime fasi della gestazione. Più passa il tempo, più i pericoli di danno fetale diminuiscono. Infatti, il rischio di malattia fetale si abbassa progressivamente per annullarsi a partire dalle 17-18 settimane di gestazione.
Inoltre, in caso di sospetta infezione in atto da rosolia è importante rivolgersi, più rapidamente possibile, ai laboratori di Microbiologia di riferimento perché la donna possa essere sottoposta a test siero-virologici di livello superiore rispetto ai test comunemente usati nella routine. L’utilizzo di questi test di secondo livello dovrebbe rapidamente chiarire se il sospetto è concreto, cioè se la donna gravida è andata incontro nella prima parte della gravidanza e per la prima volta nella sua vita ad una infezione da virus della rosolia e quindi essere ad elevato rischio di trasmettere il virus al feto, con possibilità di malattia grave congenita. Questi test assumono un valore diagnostico elevato solo se condotti entro le prime 8-10 settimane di gestazione.
E comunque, l’essere in grado di identificare le infezioni primarie materne non è risolutivo perché è importante poter proporre alle donne gravide con accertata o sospetta infezione primaria, previa informazione dei rischi-benefici delle indagini, metodiche di diagnosi prenatale invasive (funicolocentesi) e non (ecografia morfologica di II livello).
Sui prelievi di liquido amniotico e sangue fetale, i laboratori di Microbiologia di riferimento eseguono la ricerca del virus infettante e dei suoi componenti. Nei campioni di sangue fetale sono ricercate anche le IgM virus specifiche.
Se tutti gli esami di laboratorio e strumentali condotti durante la diagnosi prenatale sono negativi, la diagnosi/prognosi è molto favorevole escludendo l’infezione fetale da rosolia.
La donna può quindi proseguire con serenità la gravidanza.
Al contrario, se gli esami prenatali eseguiti portano ad un rischio elevato di malattia feto/neonatale e la donna manifesti chiaramente la propria impossibilità di procedere con la gravidanza senza danno per la propria salute mentale, il medico può prendere in considerazione la richiesta della donna di interruzione della gravidanza e valutarne la accettabilità nei limiti imposti dall’articolo 6 del D.R.194/98.
In conclusione
- poiché per la gravida che acquisisca l’infezione mancano farmaci specifici utilizzabili in epoca prenatale in grado di ridurre il rischio di trasmissione verticale o di curare il feto in utero;
- per il neonato con rosolia congenita mancano farmaci specifici per curare e/o guarire i gravi sintomi di questa malattia il modo più efficace per non correre rischi è ricorrere alla vaccinazione.
Infine, le ultime due importanti raccomandazioni:
- se una neo-mamma sa di non essere immune per la rosolia, chieda al suo medico di essere subito vaccinata. Infatti la vaccinazione non è assolutamente controindicata nel puerperio ed in allattamento e in quel periodo sicuramente non contrarrà una nuova gravidanza, escludendo così i rischi possibili per il feto dovuti alla vaccinazione;
- se una donna è già in gravidanza e non ha effettuato o non ricorda di aver effettuato la vaccinazione, deve più precocemente possibile (entro le prime settimane di gestazione) sottoporsi ai test di screening per la rosolia eseguiti presso i laboratori di Microbiologia. Questi test prevedono la ricerca nel sangue degli anticorpi IgG ed IgM virus specifici. In Italia questi esami sono dispensati gratuitamente dal Servizio Sanitario Nazionale a tutela della maternità.
Ringraziamo la Professoressa Tiziana Lazzarotto – Professore associato MICROBIOLOGIA E MICROBIOLOGIA CLINICA Università di Bologna e componente del Direttivo dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani (AMCLI).
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